SIMONA ATZORI - I limiti sono negli occhi di chi guarda

Simona Atzori  è una delle donne più incredibili che abbia mai incontrato: ballerina, pittrice, scrittrice, un' artista sotto tutti i punti di vista che ha fatto della vita la sua opera d'arte migliore. Una vita nella quale ha collezionato esperienze, premi e riconoscimenti esemplari. 

 Ve la presento con le sue stesse parole, perchè le trovo cariche di una bellezza rara, più significative di qualsiasi cosa possa scrivere io:

"Sono Simona Atzori, danzo, dipingo, scrivo e condivido la mia arte e la mia vita con il mondo.
Lo faccio in un modo speciale, usando ciò che ho, due piedi e un sorriso.
Ho imparato a non definirmi per ciò che mi manca, anzi ciò che gli altri vedono come una mancanza è la mia vera forza. 
Parto dalla mia storia, dalla mia arte e dalla mia esperienza per affrontare le situazioni che sembrano impossibili da superare."

L'ho incontrata una mattina d'autunno, mi ha aperto la porta di casa con un sorriso di quelli che fai fatica a dimenticarti: puro, genuino, onesto. Abbiamo chiacchierato davanti a una tazza di caffè, io la tenevo tra le mani, lei tra i piedi. Simona è nata senza le braccia, ma è stato chiaro sin dal primo scambio di sguardi che quella che avevo davanti era una persona completa, integra, immensa. Una persona con un mondo interiore sconfinato e dalla vita vissuta davvero appieno.

Capita raramente di avere una conversazione che ti arricchisce talmente tanto da doverci meditare sopra a lungo prima di essere pronta a condividerne le meraviglie, quella mattina Simona mi ha fatto uno dei regali più preziosi di sempre, e oggi lo condivido con voi. Buona lettura!


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Simona, iniziamo dalla domanda da cui è nato questo progetto: cos’è la bellezza per te?

Per me la bellezza è ‘sentire’, più che dall’occhio dalll’anima. Non riesco a guardare una persona e considerarla bella solo per il mio gusto personale; a volte ci sono delle persone che non sono particolarmente belle ma hanno uno sguardo, un’energia, una vibrazione  che a me le fa sembrare meravigliose. Quindi forse la bellezza è un’emozione. 

Negli anni hai parlato spesso di limiti, cosa sono i limiti per te?

La prima cosa a cui ti viene da pensare quando pensi ai limiti, sono i tuoi limiti. Quindi una persona che come me, agli occhi degli altri, ha dei limiti è più portata a guardare ai propri limiti e il primo scoglio da superare diventa proprio quello: i tuoi limiti. 

Ma con i tuoi limiti ci fai quel che ti pare, ci sono momenti in cui ci combatti, momenti in cui fai pace, è un mondo tuo e hai le tue fasi: da bambina, da adolescente…è un viaggio. Non ti vedrai mai allo stesso modo, però lo sguardo che incontri degli altri è sempre lo stesso e dato che non è tuo e non hai il potere di farci qualcosa, quello sguardo diventa un limite.

Da bambina dicevo sempre che se chi incontravo pensava che io non potevo fare una cosa, questo era un suo limite e se io non ci credevo, il limite restava a lui, non lo facevo mio. E ho scoperto che questo era il mio modo per combattere il limite degli altri: scegliere di non farlo diventare mio.

 

Secondo te i limiti cambiano in posti diversi del mondo?

L’esperienza in Canada mi ha dato molto, ho notato come la cultura modifica lo sguardo delle persone. In un Paese come il Canada, giovane, che è nato e cresciuto nella diversità, questa è entra a far parte del tessuto sociale; ho trovato in Canada quello sguardo che stavo cercando e in quel momento della mia vita (l’adolescenza), mi ha aiutata molto perché volevo che quello sguardo diventasse la normalità.

In Kenya invece ho trovato uno sguardo diverso. In Kenya la diversità è un grande taboo ma, nonostante ciò, amo quella terra. L’Africa è qualcosa che non si può spiegare.

Normale e normalità, diverso e diversità….sono parole che diciamo spesso ultimamente. Cos’è normale? Cos’è diverso?

Tutti siamo diversi. Io credo che la diversità sia la più grande ricchezza che l’essere umano possa avere, perché ci rende unici e crea in noi un contatto nuovo nei nostri pensieri. Io celebro la diversità e ho un corpo che la racconta senza dire niente, ho scelto di raccontarla consapevolmente questa mia vita, non questa mia diversità, questo essere Simona.

Da piccola c’era un ragazzino che mi diceva che soffrivo di ‘protagonismo involontario’, nel senso che ero sempre protagonista senza volerlo e a volte io effettivamente non lo volevo e allora ho scelto, grazie alla danza e alla pittura, di rendere questo protagonismo volontario e di raccontare la mia storia attraverso l’arte e di raccontare, attraverso la mia unicità, l’unicità di ognuno di noi. 

Il danno più grande che possiamo fare a chiunque è farlo credere di essere normale.
Il normale diventa normale quando c’è qualcuno che ha stabilito dei codici, quindi attraverso quei codici una cosa è diversa o normale, ma questi codici non sono uguali per tutti. 

Al contrario della diversità che è una ricchezza, la normalità è un impoverimento, è un entrare in un’etichetta che toglie la tua bellezza. Io credo che l’etichetta venga data dalla paura. Abbiamo bisogno di appartenere a qualcosa che è una cosa bellissima, se intesa in termini di ‘insieme’ però c’è anche tanta fragilità nell’aver paura della solitudine. Credo che sia importante costruire la propria ‘casa’ e questo non vuol dire essere individualisti.

Secondo te qual è il primo passo da fare per sgretolare il concetto di normalità, quella imposta da dei codici?

Ammettere di essere diversi e andare a guardare tutte le nostre diversità. Usare quello specchio per guardare tutto quello che siamo noi. Andare a vedere dentro, non fuori.

Focalizziamoci un momento sul fuori: com’è cambiato il tuo rapporto con lo specchio, da bambina, a adolescente, a donna? 

Io ho sempre avuto un incredibile rapporto con lo specchio, nel senso che lo amo. Lo specchio mi ha sempre aiutato a mantenere un rapporto con la mia crescita. Ero un bambina molto felice, estroversa ed allegra e ho il ricordo di una bambina che si è sempre molto amata. Ho sempre sentito un grande amore da parte della mia famiglia e questo mi ha dato molta forza. Per me era importante avere un fiore fra i capelli, volevo indossare sempre le gonne, ero molto femminile. E poi la danza ti da quel rapporto con lo specchio che ha due facce, ti fa vedere anche gli errori e diventi anche abbastanza esigente con te stessa. 


Il mio periodo adolescenziale, invece, è stato molto difficile. Avevo le protesi, il busto, sono stata 3 mesi ferma a letto e lì un po’ mi è crollato tutto, nel senso che volevo sentirmi come gli altri. Credo che a quell’età forse non ci sono gli strumenti per costruire la tua struttura mentale, fisica ed emotiva e la prendi in prestito da chi pensi che sia in qualche modo giusto. Però credo che sia stato cmq un periodo molto importante perché quando qualcosa crolla è perché qualcosa altro deve essere ricostruito. Guardavo quello che guardavano le altre ragazzine, non le braccia, guardavo il naso, il seno, tutto quello che guardavano le altre solo che, agli occhi degli altri, il problema era che non avevo le braccia. È lì che ho iniziato a rendermi conto che il limite non era il mio, ma degli altri.


Ho sempre odiato le protesi, non sorridevo, non ero io, mi sentivo un’altra persona che non volevo essere. A volte le portavo per nascondere gli sguardi che non sapevo gestire, però mi faceva ancora più male perché sentivo che stavo tradendo me stessa.


Siamo tutti portatori di sguardi e dobbiamo stare molto attenti, a volte pensiamo che le parole possano ferire (e feriscono) ma credo che lo sguardo possa ferire di più, è come essere un po’ vigliacchi.

Nel tuo libro COSA TI MANCA PER ESSERE FELICE dici che non ti piacciono gli sguardi compassionevoli, quelli che dicono “poverina”…cosa pensi succeda nella mente di chi guarda con quello sguardo?

Credo sia una paura, paura della diversità, di ciò che non conosciamo ed è diverso da noi. Lì per lì non sappiamo come viverlo, ma poi una volta che si conosce non si ha più paura, e quindi lo sguardo cambia. Per questo per me è importante far conoscere i diversi tipi di diversità. All’inizio ero io ad aver paura di quello sguardo, poi ho compreso che ero io la prima a dover far qualcosa per affrontare quello sguardo, quindi ora la prima cosa che uso è il sorriso. 


Ricordiamoci che quando andiamo in giro siamo portatori di uno sguardo ce parla senza parlare quindi quello che non vogliamo che gli altri pensino di noi, cerchiamo di non farlo agli altri. Dal rapporto con lo specchio fisico, si passa al rapporto con lo specchio umano.

Hai detto spesso che la parola disabile non ti piace…

Non mi piace nulla che definisce, le parole che sono talmente tanto ad ampio spettro che possono dire qualunque cosa. Soprattutto la parole disabile, da dis- toglie, e chi siamo noi per dire che una persona ha qualcosa in più o qualcosa in meno?! 

Dobbiamo parlarci e capirci, le parole assumono un valore importante quindi le dobbiamo usare, ma le dobbiamo usare bene. Non ho mai sentito dire da mia madre ‘mia figlia è disabile’, diceva ‘mia figlia non ha le braccia’. Perché dobbiamo categorizzare? Chiamiamo le cose con il suo nome. E credo che questo modo di parlare di mia madre sia stato fondamentale per me, ha fatto la differenza.

Cosa ti ha fatto soffrire di più nella vita?

La paura della perdita che ho vissuto con la morte di mia madre,  ho perso un mondo che era tutta la mia vita, questa perdita però mi ha dato una grande opportunità: quella di crescere e di fare un viaggio dentro me stessa che non avrei mai immaginato di fare. 

Perdere qualcosa ha due facce, la parte dove c’è il dolore e la fatica e la parte dove invece devi guardare l’opportunità. Io guardo sempre all’opportunità. La mia nascita da subito mi ha fatto scegliere se essere ‘Simona poverina che non può fare niente’ o se invece diventare un sacco di cose che gli altri non immaginavano minimamente. Se guardo agli ultimi 20 anni, ho visto una vita che altre persone non fanno in 1000 vite. 


Secondo te, chi cresce in una famiglia più ombrosa, dove c’è poco supporto, come può sviluppare l’atteggiamento positivo che hai tu?

Ho incontrato talmente tante persone con storie diverse e mi sono resa conto che non ci sono regole, io ho avuto dei fattori che mi hanno aiutata però ad un certo punto della mia vita ho capito che la responsabilità dipende da noi. La differenza la facciamo noi, sempre. La differenza la fa la scelta di scegliere cosa vuoi. 

La domanda più difficile a cui secondo me l’essere umano deve rispondere è ‘ che cosa desideri?’ che è diversa da ‘che cosa vuoi?’. Il desiderio è un’altra cosa ed è molto difficile da ascoltare e anche quando lo ascoltiamo è difficile scegliere di portarlo avanti e quindi ti rendi conto che per ogni pezzettino c’è un’altra scelta, non basta la scelta iniziale.


 

ABOUT SIMONA ATZORI


THE PROJECT

QUEST FOR BEAUTY è un progetto fotografico e di ricerca mirato a cambiare la prospettiva collettiva della bellezza. Scopri tutte le interviste e le galleries del progetto qui

THE PHOTOGRAPHER

Sara Melotti è la fotografa dietro a QUEST FOR BEAUTY.

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IG: @saramelotti_

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