FLAT BEAUTY

Francesca aveva 28 anni, era innamorata matta, adorava il suo lavoro, poi improvvisamente a Marzo 2016 inizia a sentire “una biglia che le ballava dentro il seno sinistro”. Leggermente spaventata decide di fare un’ecografia mammaria, le suggeriscono di fare ulteriori controlli, incontra un primo senologo che dopo aver guardato l’ecografia le dice che non c’è nulla che non vada. 

Ma dopo qualche mese il dolore non è ancora svanito, anzi, si è intensificato: è arrivata al punto di doversi reggere spesso il seno sinistro mentre lavora in cucina per non sentire male ad ogni sobbalzo. Francesca richiama lo stesso senologo che però questa volta le dice di essere troppo impegnato per potersi occupare di lei; fortunatamente la madre di Chiara—una figura femminile che si rivelerà fondamentale nel percorso che Francesca sta per intraprendere—contatta una clinica privata e nel giro di pochissimi giorni Francesca incontra finalmente il senologo che le avrebbe salvato la vita —“uno dei miei angeli” lo definisce lei — e che nel giro di una settimana la fa accedere ad una serie di controlli: ago aspirato, mammografia, altre ecografie. Il 3 agosto 2016 Francesca ha la diagnosi definitiva: si tratta di un cancro maligno al seno del diametro di quasi 5 cm. 

1 / 3
2 / 3
3 / 3



Come ti sei sentita quando sei venuta a conoscenza della diagnosi? 

Solo quando sono tornata a casa ho pianto, ma non perché provassi angoscia o terrore, più che altro mi sono sentita come pietrificata, smarrita, anestetizzata: era come se non stesse accadendo a me. Ricordo però che ero certa che sarebbe andato tutto bene: ho sempre pensato che le cose accadano per portarci nella direzione più giusta per noi. All’inizio credevo di non dirlo nemmeno ai miei genitori per non causargli dolore (ndr. Vivono ad 800 km di distanza da me), poi invece ho capito che sarebbe stata l’ennesima volta in cui non mi sarei presa dello spazio per me, e non sarebbe stato giusto, non questa volta. Il mio dolore esisteva, ed era parte di me.

Dopo la diagnosi com’è cambiata la tua vita? Ed il tuo corpo?

A pochi giorni dalla diagnosi io e Chiara abbiamo deciso di partire per due settimane, ci siamo prese del tempo per noi viaggiando in auto tra Spagna e Portogallo. Tanto le cure sarebbero iniziate da lì a 3 settimane almeno. Ricordo ancora i meravigliosi colori del mare dell’Algarve mischiarsi al nero opaco dei miei pensieri. Poi un giorno venne un vento forte, e tutto fu spazzato via. Dall’alto di una scogliera salutai con amore i miei capelli lunghi e persino la tristezza iniziò ad allontanarsi da me. A settembre mi proposero le cure oncologiche: inizialmente i medici avevano previsto 4 forti cicli di chemioterapia ed un’operazione poco invasiva per salvare il seno. Quei dottori erano stati troppo ottimisti: alla fine ne dovetti fare altri 18, ed il mio seno è stato rimosso completamente. Durante le cure mi sono sempre sentita bene. Mi sono circondata di persone che potessero essermi utili, che potessero nutrirmi come fa il cibo di qualità. Sin da piccola sono sempre stata abituata a cavarmela da sola e a non chiedere aiuto a nessuno, ma in quel frangente mi sono ritrovata ad osservare tutte le mie vulnerabilità, a proteggermi e ad abbandonarmi al supporto e all’aiuto degli altri. E nonostante non avessi più nemmeno un capello, nemmeno un pelo sul corpo io mi piacevo, mi amavo, mi sentivo bella, bella di una bellezza pulita, quasi ingenua.
A marzo 2017 venne il momento tanto atteso dell’operazione ed io mi sentivo pronta. Pronta a perdere una parte di me, ma anche a ripartire con la mia nuova vita. E ciò di cui ero certa nel profondo è che non volevo affatto una copia della mia vecchia vita, e di conseguenza non volevo nemmeno una copia del mio vecchio seno. Decisi di non ricostruirlo.

Qual è stato il tuo ragionamento dietro la decisione di non ricostruirti il seno?
Ho scelto di assumermi la “responsabilità” del mio corpo — che è una cosa che abbiamo tutti di diritto dalla nascita. I medici spingono quasi sempre le pazienti alla ricostruzione del seno, ma l’immagine che abbiamo di questa pratica non appartiene quasi mai alla realtà: un seno non può essere ricostruito in maniera naturale. Ad esempio nel caso di un tumore, non si è mai certi di quali cellule potrebbero essere malate, quasi sempre il capezzolo viene ricostruito usando tessuto che proviene da altre parti del corpo, a volte dalla vagina. Come si può dare per scontato che una donna possa accettare in automatico una cosa simile? Certo, è possibile che acconsenta, ma come può anche accettare l’idea di amarsi così com’è e continuare a vivere con un corpo un po’ diverso da quello di prima, ma che racconti una storia di grande resilienza.

 

La maggior parte delle donne sceglie di rifarselo il seno però, secondo te perché?

La mia scelta è stata definita inconsueta per una donna di 29 anni, forse anche un po’ folle. Non la fanno donne giovani. Alcune si fanno comunque ricostruire il capezzolo sulla parte piatta, altre scelgono di rifarsi il seno ma di non ricostruire il capezzolo; altre vivono sotto una tortura costante perché sono alte le probabilità che la protesi faccia rigetto o porti ad infezioni. Io non ho avuto il coraggio di inserire una protesi dentro di me. Ho avuto un coraggio diverso. Mi chiedo spesso quante donne mettano a tacere i propri desideri abitualmente accontentando gli stereotipi di qualcun altro, del/la loro compagno/a, del contesto sociale in cui sono immerse. E non è un giudizio il mio: io amo e comprenderò sempre la scelta di una donna che ha vissuto quello che ho vissuto io. Sarò sempre dalla sua parte. Con o senza protesi. Io mi sono posta due domande in piena sincerità: “Perché dovrei ricostruirmi” e successivamente “Per chi lo farei?” Io non avevo alternativa; ho sentito nitidamente il mio desiderio, conoscevo il perché e sapevo per chi stavo compiendo questa azione. Sono stati utili gli anni passati tra me e me, dove ho dato spazio all’introspezione, allo studio, anni dedicati a praticare insegnamenti atti a conoscere e accogliere le mie ombre arrivando ad aver chiaro il desiderio. Ho avuto fiducia in me, e nel processo. Ho sentito che mi potevo amare, puramente e che il mio “mezzo” (il corpo) sarebbe stato perfetto senza una protesi in un equilibrio nuovo.

Come ti sei sentita dopo l’operazione?

Leggera. Mi sono risvegliata dall’anestesia piangendo di una gioia strana, inspiegabile. Ho visto mio padre, la mamma di Chiara, le loro lacrime. Dopo aver preso un po’ di lucidità ho visto un grandissimo bouquet di fiori dove facevano capolino gli occhi di quella che ora è mia moglie. Un tonfo al cuore. Sentivo il corpo molle, addormentato ma era vigile l’intuizione che il linfonodo sentinella analizzato durante l’operazione era risultato negativo. Dopo poche ore mi dettero conferma. Era negativo, risparmiando così lo svuotamento ascellare e l’idea che il mio tumore non si fosse spostato nei linfonodi, o in altre parti del corpo.

Cos’hai provato quando ti sei guardata per la prima volta tolte le bende?

Quando ho iniziato a riprendermi fremevo all’idea di vedere il mio nuovo corpo. Volevo vedermi per conoscere la realtà fantasticata fino a poco prima. Mi ero ripromessa che avrei guardato la cicatrice da sola, nella mia camera in ospedale. Per rispettare ogni mia sottile sensazione, emozione e ripensamento probabile, con amore. Ma non andò proprio così, l’istinto di osservarmi nonostante la presenza dei medici fu più forte della promessa che mi ero fatta nei giorni precedenti. Posso solo dirti che feci il più grande sospiro di sollievo dei miei (allora) 29 anni. Un sospiro, un respiro che ha stabilito l’inizio di una nuova fase.

E cosa è successo dopo?

Ho dovuto familiarizzare con il corpo che era cambiato: ho donato un sacco di vestiti e quando mi andava di indossare qualcosa di aderente “farcivo” i reggiseni che avevo. Ho scoperto solamente qualche mese dopo la mastectomia (per caso, passando in ortopedia) di poter usufruire di una protesi esterna da inserire all’interno del reggiseno per stare a mio agio con un vestito, un costume e per assicurarmi una postura corretta (che forse è l’aspetto più importante). Come mai il mio medico non me ne aveva nemmeno parlato? E’ in quel momento che ho capito quanto davvero la mia scelta da giovane donna fosse inconsueta. Probabilmente non gli era nemmeno venuto in mente perché gli era capitato pochissime volte.


Uno dei motivi che spinge le donne a rifarsi il seno dopo la mastectomia e’ la paura di non essere accettata dal partner. Questa domanda la farei direttamente a tua moglie. Chiara, Cosa avevi in testa nei giorni precedenti all’operazione? Cosa hai provato quando hai visto Francesca dopo l’operazione?

Ora che mi fai questa domanda, mi rendo conto che nei giorni precedenti all'operazione di Francesca non ho mai pensato ai risvolti che ci sarebbero stati sul piano più "fisico" di tutto quel percorso.

E' successo che l'abbiamo attesa come si attende il Natale. Ovviamente la paura c'era, ma nessuna delle due l'ha mai fatta trapelare troppo. Abbiamo vissuto l'intervento con un grande senso di liberazione.

Non mi sono mai preoccupata di ciò che avrei dovuto vedere. Ciò che più mi importava davvero è che si potesse accettare lei stessa, nonostante il cambiamento evidente e dovendo perdere una delle parti più belle del suo corpo. Sapevo già della sua decisione di non voler ricorrere alla chirurgia plastica, ed avrei semplicemente appoggiato qualsiasi sua scelta.

Qualche giorno dopo Francesca mi chiese se mi sentivo pronta a vederla con la sua cicatrice. 18 punti di sutura che le attraversavano il petto, fino ad arrivare al cuore.

Quando la vidi in realtà credo di avere tirato un sospiro di sollievo: la cicatrice era molto più bella di quanto mi potessi immaginare. E Francesca per me non ha fatto che altro che trasformarsi in un'amazzone, una donna pronta a tutto pur di mantenere la sua resilienza.

In quel momento ero solo felice che fosse viva ed ho provato immenso amore per lei, e per ogni parte del suo corpo. Ho promesso a me stessa che avrei amato quella cicatrice, e così è stato.

La parola "amore" deriva dal sanscrito a-mrityo: ciò che non muore. Non avrei potuto fare promessa più azzeccata.


Francesca, Cosa diresti a una donna che ha appena scoperto di avere un tumore al seno?

Di direzionare l’amore verso ogni ferita, di amarsi tanto. Di avere cura, perché è l’unico modo di essere cura, come dicono due nostri cari amici. Al momento dell’operazione le direi di scegliere senza condizionamenti esterni, senza tradire il proprio cuore, mai. Io tutt’ora amo molto il mio corpo: è un corpo cambiato ma che è vivo ed ora è sano. Non ho perso una parte di me; ho ricevuto in dono la possibilità di sopravvivere, la possibilità di restare ed essere magnificamente unica. Questo lo racconto ad ogni persona che incontro in modo da normalizzare—soprattutto per chi è ancora molto giovane —la possibilità che possa esistere una femminilità, un’integrità anche senza seno.

In Italia purtroppo se ne parla veramente poco, ho visto pochissime immagini di donne che si sono lasciate ritrarre serenamente, attraverso il movimento americano Going Flat, eppure le donne senza seno esistono eccome, si nascondono temendo il giudizio degli altri. Ho deciso di donare ciò che io stessa cercavo e ho deciso di farlo anche attraverso te e questo reportage. 

Fin ora non ti eri mai fatta fotografare così a nudo (letteralmente). Come ti sei sentita mentre ti fotografavo? Cosa simboleggia per te questo ritratto?

La sensazione è difficile da descrivere: lasciarsi andare e mostrare questa parte così intima di me, la parte che solo Chiara, la persona che più sa amarmi, riesce a vedere… Ho scelto di farmi ritrarre nel mare. Sono entrata in acqua con i primi bagliori dell’alba, in un mare nero pieno di alghe, ho subito iniziato a familiarizzarci. Ad ogni passo le alghe si alzavano per poi permettermi di vedere il fondale chiaro dove la luce andava a riflettere. Un simbolo perfetto: passare attraverso l’ombra per iniziare a vederci chiaro.

Il gesto di essermi immersa nell’acqua e di lasciarmi fotografare è in onore a me e in onore alla mia cicatrice, in onore di tutte le donne che hanno subito una trasformazione fisica, a tutti i corpi non conformi.


 

ABOUT FRANCESCA & CHIARA (AKA CIBOSUPERSONICO)

Francesca e Chiara (detta Ciarina) sono una coppia di fatto e nel lavoro. Cibo supersonico e Progetti timidi sono il frutto delle loro conoscenze nel campo della cucina a base vegetale e della comunicazione.

Francesca impegnata nella scoperta della cucina internazionale nel rispetto delle materie prime e dell’ambiente da circa 10 anni: sous-chef del primo ristorante crudista di Italia insegna il suo metodo supersonico in Italia e recentemente anche oltre confine dal 2015 in Italia. Cucina per eventi, matrimoni, supperclub tematici e retreat dando spazio alla sua creatività , costantemente accompagnata da Chiara che segue la comunicazione e la logistica in ogni singolo dettaglio.

Sono impegnate nella divulgazione di uno stile di vita che possa lasciare un’impronta leggera e attenta sul pianeta. Collaborano con realtà artistiche di diverso genere, dalla musica, allo yoga, alle scienze esoteriche, alla poesia. Sempre a supporto della comunità LGBT+, del movimento femminista e delle minoranze.

 

DOVE TROVARLE:

 


THE PROJECT

QUEST FOR BEAUTY è un progetto fotografico e di ricerca mirato a cambiare la prospettiva collettiva della bellezza. Scopri tutte le interviste e le galleries del progetto qui

THE PHOTOGRAPHER

Sara Melotti è la fotografa dietro a QUEST FOR BEAUTY.

Più info qui

IG: @saramelotti_

Using Format